Contro il matrimonio, essere amore: per nuove soluzioni alla solitudine e alla paura dell'assenza di senso della vita
La mia insofferenza verso l'istituzione
del matrimonio – vedendo coloro che intorno a me l'hanno contratto
– ha ormai raggiunto l'apice!
Rispetto a come ne parlano le leggi,
sulla base dell'osservazione concreta di tale realtà sento piuttosto
di poterlo definire come “scelta intenzionale masochistica di
sottoporsi a condizione di dominio privato (coniuge) e di qui
collettivo (religione/stato per il tramite della legge su quel
contratto) e di barattare amputazioni di sé in cambio dell'illusione
d'essere amati e curati in caso di bisogno”.
A te che l'hai fatto, o che stai per
farlo, vorrei dire alcune cose.
Quando ci si sposa viene legittimata di fatto la possibilità di nutrire aspettative e proprietà sull'altro/a (e ciò riproduce la relazione di dominio stato/religione->società in piccolo, così come forma il primo nucleo di base di quel sistema di dominio da parte di stato/religione sulla società).
Nel matrimonio
c'è l'inamovibilità relazionale da un certo punto della propria
vita in poi, pur se cambiano le premesse di questa, se le persone
cambiano interiormente così come le loro aspirazioni; ci sono
sacrifici, doveri, possesso, aspettative; ci sono perversioni,
dominio, vittimismi, opportunismi, sensi di colpa, ripicche,
amputazioni e castrazioni di sé; c'è mancanza di responsabilità di
sé e dell'altra/o; ci sono soluzioni 'comode' perché già compiute
e che quindi si autoriproducono per inerzia; c'è la delega della
propria libertà di scelta quotidiana, così come dell'intenzionalità
delle proprie azioni verso l'altra/o; c'è la sospensione del
pensiero e della volontà perché tutto è già stato deciso e
stabilito; c'è il riprodursi della paura sedata e controllata con la
grande illusione dell'appartenenza a qualcosa di ulteriore divino (v.
religione) o umano (v. stato).
Abbastanza da farmi inorridire di panico e terrore!
1) Libertà. Scelgo ogni giorno (e giorno per giorno) di amare una o più persone e di permettere che loro facciano lo stesso, nella totale libertà, ovvero nell'assenza di qualsiasi pensiero di dominio, aspettativa e possesso; imparo a gestirmi con l'intelligenza (perché sono un essere umano, non un animale) gli istinti di gelosia, esclusiva e possesso (che provo in quanto – come essere umano – sono anche, ma non solo eh?, un animale) e a liberarmi anche da questi che sono – a ben vedere – ulteriori schiavitù; combatto la paura senza andare fuori di testa per la disperazione dell'assenza di senso, ma vivendo concretamente con passione e coraggio la vita mia e altrui.
Un
mio conoscente ha scritto online l'esortazione non a 'provare amore',
bensì a 'essere amore'. Ecco, credo che questa sia la differenza.
Se
si è amore, la libertà, la responsabilità e la solidarietà verso
gli altri sono riflesso condizionato di tal premessa. Non c'è
bisogno di contratti, atti formali, istituzioni dello stato o della
religione, leggi umane e divine. Non c'è bisogno di niente. Sì è,
e di qui si fa.
Non
è chiudersi in quattro mura al sicuro, in una volontaria prigione
con caldo, cibo, vestiti e l'illusione che il secondino ci tenga a
noi. Si va verso l'esterno, ci si espone alle intemperie, si sta in
ripari di fortuna e condivisi senza serrature, si caccia e condivide
il cibo volontariamente, si curano i compagni feriti e si fa l'amore
per amore.
Siete capaci d'amare così tanto?
Siete in grado d'essere così
'amore'?...
Commenti
Un carissimo saluto.
(P.S.: questo nonostante sia sposato, con quello che di buono e meno buono questa condizione ha comportato e comporta).
Non significa saltare allegramente di letto in letto senza attenzione ai sentimenti altrui, ma che amore significa scegliersi, stare bene oltre al dovere, che esiste, di portare avanti un disegno personale, che potrebbe sembrare poco ortodosso ma che ci appartiene.
Lo rileggerò questo post, grazie Minerva.
Il resto è solo convenzione, noia, abitudine. E perde di senso, allontanandosi dall'Amore.
Ma è un programma rivoluzionario che chiede coerenza e coraggio.
Molto più interessante la soluzione che tu proponi... e in ogni caso la responsabilità è un ingrediente importante di qualsiasi rapporto.
In un mio post avevo scritto che l'errore fondamentale, a mio avviso, sta nel partire dall'idea di possesso: quando diciamo "mia moglie", la mia donna (o il mio uomo) già sbagliamo; anche a prescindere dal legame matrimoniale, la relazione fra le persone non può essere equiparata in nessun modo a un "contratto" ("tu ti sei legata/o a me e io ti posseggo", col corollario: "poiché ti posseggo, ho aspettative legittime che tu in quanto cosa mia devi soddisfare"): forse dovremmo imparare una nuova "grammatica" dei rapporti umani e dei rapporti d'amore in particolare.
Il matrimonio non ti renderà meno sola? Assolutamente sì. Anzi, accrescerà, talvolta, il tuo senso di solitudine. E aggiungo: anche gli eventuali figli nati dal suddetto matrimonio non ti renderanno meno sola. Anzi.
Credo che, fatte salve queste premesse, sia giusto che ciascuno si regoli secondo il proprio sentire, le proprie inclinazioni e le proprie attitudini. Ci si può anche sposare, se si crede nella "solennità" di un contratto sociale stipulato davanti alla comunità. Si può splendidamente non farlo, se si vive in coerenza con il proprio "diritto naturale", come fai tu. L'essenziale è non raccontarsi storie, e, appunto, fare i conti con la responsabilità verso se stessi ogni giorno. Fino ad ammettere che la capacità di "essere amore", autenticamente, in modo sano e positivo, passa inesorabilmente attraverso la necessaria capacità di amare, in primis, sopra ogni altro, figli compresi, se stessi.
@Cri: concordo con l'ultima frase, ma - rispetto alla libertà d'azione - sarei anche d'accordo con te non fosse che implicito in quel contratto sono la dimensione di proprietà, di esclusiva, di 'legittime aspettative' e l'uso del sentimento tra due persone come tassello iniziale d'un sistema perverso di potere che investe anche chi non ha compiuto tale scelta.
Davvero, siate gentili con quelli come me, non fate contratti pur se proprio ci credete: tagliatevi piuttosto il palmo della mano e fate un patto di sangue, in cui quello dell'uno scorra per sempre nel corpo dell'altra e viceversa.
Se ci credete tanto, ben più forte questo che un contratto sancito da stato o religione, non trovi? Con quieto vivere di chi magari non fa neanche questo.