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Visualizzazione dei post da ottobre, 2012

Oro cash, televisione, e le popolazioni nomadi

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Ospite l'altro giorno d'una amica, sono stata esposta involontariamente a questo spot nel momento in cui ella ha acceso la televisione (che io non possiedo più, cone somma gioia, da una decina d'anni) e l'ho trovato agghiacciante! Renato Pozzetto pubblicizza qui una società che acquista oro pagandolo in contanti, contanti con i quali egli compra all'istante un maxischemo televisivo. Ora: sono solo io che mi sento a disagio davanti a questo spot? Perché per me rappresenta la negazione di diversi livelli di senso. 1) Intanto identifica la felicità con l'acquisto d'un bene che può rappresentarne una componente solo per una mente ottenebrata dall'ignoranza, dalla stupidità o dalla frustrazione: va da sé che se sto bene e sono felice di mio, di un televisore non me ne faccio nulla. 2) La televisione può essere uno strumento di informazione e intrattenimento e/o informazione solo se usata in modo critico e consapevole, altrimenti è al pari di

Lavoro, identità e tesori nazionali viventi

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"Sono dipendente di..." o "Ho un'impresa di..." stanno bene. "Sono disoccupata" no. Lo dice pure la Costituzione Italiana all'art. 1 " L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" : capito? E' fondata sul lavoro e quindi sull'individuo se, e solo se, è nella posizione dell'homo faber. Altrimenti nisba - non conta, non è cittadino, non è nulla, non ha neanche un'identità. Non si può né sa neanche definire - tanto che abbozza al massimo un "vedo gente, faccio cose, ho dei progetti". Quanti di noi affermano questo pur di non dichiararsi 'disoccupati'? Ecco, questo ci hanno fatto: portarci alla vergogna per qualcosa che magari non è dipeso da noi. E toglierci la possibilità di definirci come esseri dotati di identità e dignità d'esistenza. Ora: vogliamo ribaltare un po' le cose? Siamo costretti a lavorare per guadagnarci da vivere ma preferi remmo fare cose ch

Contro il matrimonio, essere amore: per nuove soluzioni alla solitudine e alla paura dell'assenza di senso della vita

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La mia insofferenza verso l'istituzione del matrimonio – vedendo coloro che intorno a me l'hanno contratto – ha ormai raggiunto l'apice!  Rispetto a come ne parlano le leggi, sulla base dell'osservazione concreta di tale realtà sento piuttosto di poterlo definire come “ scelta intenzionale masochistica di sottoporsi a condizione di dominio privato (coniuge) e di qui collettivo (religione/stato per il tramite della legge su quel contratto) e di barattare amputazioni di sé in cambio dell'illusione d'essere amati e curati in caso di bisogno ”. A te che l'hai fatto, o che stai per farlo, vorrei dire alcune cose. Il matrimonio non ti renderà meno sola/o (ti fa solo credere di non esserlo, costringendo una persona a vivere con te, a sentire le tue parole dopo giornate faticose, a fare sesso come dovere istituzionale), non ti dà la certezza d'essere amato e curato, non ti salva dalla morte dotando la tua vita di un qualche senso: il matrimon

Vergognamoci per loro: lo facciamo?

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Anni orsono io e il mio migliore amico avevamo avuto la pensata, mai realizzata, di aprire un'associazione di volontari che in forma altruistica e gratuita si vergognavano pubblicamente - come prefiche dell'antica Roma - "per coloro privi del buon gusto di vergognarsi da soli per l'inaudita inaccettabilità sociale e umana delle loro affermazioni o azioni". Che dite, non sarebbe il caso di ripensarci e di realizzarlo, oggi? Chi aderisce lo scriva nei commenti, e indichi per chi vorrebbe vergognarsi e di cosa ;-)

Entr'Acte, di René Clair

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"La gente si comporta come se nulla fosse accaduto. La carneficina continua e loro si giustificano con la ‘gloria europea’. Tentano di rendere possibile l’impossibile, di far passare il disprezzo dell’umanità, lo sfruttamento dell’anima come un trionfo dell’intelligenza europea. Non ci convinceranno a mangiare il pasticcio putrefatto di carne umana che ci offrono" (Hugo Ball)

Dada esercizi

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"Il dadaista inventava gli scherzi per togliere il sonno alla borghesia, il dadaista comunicava alla borghesia un senso di confusione e un brontolio distante e potente tanto che i suoi campanelli cominciavano a ronzare, le sue casseforti ad asciugarsi e i suoi amori scoppiavano in bollicine" (Jean Arp) Attuo spesso questo genere di provocazioni io stessa. Credo che queste piccole, assurde sollecitazioni provochino dei micro-corticircuiti nella realtà altrui che magari può indurli a riflettere sulla ripetitività a volte maniacale e insensata della propria vita quotidiana, e forse invogliarli a cambiare qualcosa per rinconquistare un po' di leggerezza, creatività e possibilità di benessere o addirittura felicità. Cose tipo l' Orsetta che lascia girasoli nei posti più impensati , oppure smembrare fumetti loschi e metterne una pagina sotto il parabrezza delle auto in fila in una stessa strada . In realtà sono proprio sempre anche alla ricerca di giochi c

Usare le mani per...

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A febbraio 2012, negli scontri tra manifestanti NoTav e polizia, accadeva anche questo: Ecco, se le mani le usassimo per lavorare, suonare, cucinare, scrivere, produrre beni da condividere, per rimuovere calcinacci di case crollate e per stringerle con affetto a chi ha perso tutto ed è disperato, per 'costruire' in generale (per) la società civile cui apparteniamo, credo che sarebbe meglio che usarle per pregare, per firmare ordinanze di sgomberi o di azioni repressive, per picchiare, per uccidere.

Una volta erano guerrieri

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Reduce dalla rinnovata visione di questo film - che non poteva non trovarmi interessata, trattando di minoranze nella contemporaneità, rapporti di genere, valore della famiglia e delle proprie radici culturali, e presentare momenti intensi e drammatici più la fascinazione che la violenza esercita sul nostro lato animale (quindi anche sul mio, per quanto poi la mia parte razionale e umana la condanni e cerchi di tenerla a bada quanto più possibile). Buona visione a voi, con l'augurio che vi sia d'ispirazione per le vostre vite il monologo conclusivo!

Emma Goldman, l'amore libero, e il problema del dominio

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Mentre leggevo di Bertha Thompson e verificavo che il libro citato in questo post era stato scritto da lei e Ben Reitman , mi informavo su quest'ultimo e sul suo rapporto con la Goldman - attivista che amo molto per diverse ragioni tra le quali la posizione sul sesso e sull'amore che promosse come femminista ante-litteram. Su Anarchopedia, infatti, troviamo scritto che "oltre alla specifica propaganda dell'ideale anarchico, Emma Goldman tenne diverse conferenze sull'emancipazione della donna, sull' amore libero , sull'uso dei contraccettivi ed il controllo delle nascite [...]. Emma Goldman tentò di tradurre in pratica tutto il suo ideale teorico e le sue aspirazioni libertarie, spesso scontrandosi con gli stessi anarchici e con il loro «istinto maschile di possesso, che non vede altro dio all’infuori di se stesso»" . Accidenti! Quanto aveva ragione: io stessa, ancora oggi, in uomini pur meravigliosamente attivi sul fronte della parità dei

Alimentazione DIY – tre produzioni facilissime

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Avendo ogni genere di intolleranza e dovendo fronteggiare – cosa che faccio con la delicatezza d'un carro armato – una salute parecchio fragile, mi sono risolta nel tempo a dare molto valore a ciò che mangio, di prestare attenzione al modo in cui (me) lo cucino e di selezionare con cura chi decido di volta in volta di rendere partecipe del piacere di consumarlo con me. Ah, che snobismo, direte voi! E fate bene. Ché la questione è sempre quella: di vita una ne abbiamo, quindi meglio assaporarsela con gusto. E poi scegliere cosa introdurre nel mio corpo, come prepararlo e con chi mangiarlo per me è un atto d'amore verso me stessa – una piccola cura quotidiana di sé. PANE . Dopo anni di ricerche non hanno ancora deciso se io sia celiaca, intollerante al glutine, allergica a lieviti, ecc. La medicina non è una scienza esatta, quindi l'imperativo per chi soffre è armarsi di buona volontà e verificarti da solo ciò che ti fa bene e ciò che ti fa male: certo, a me sembra

"Cosa non ho fatto per un po' d'avventura, d'amore e di pace"

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Questa frase veniva spesso ripetuta da tal Lizzie Davis, vagabonda, a Bertha Thompson, pure lei vagabonda e autrice* del bellissimo libro Box-Car Bertha in cui quest'ultima narra dei suoi giri in lungo e in largo per gli Stati Uniti prendendo a sbafo treni merci. Queste parole mi risuonano così familiari che potrebbe essere il mio stesso intercalare! In questi giorni ho ripreso in mano quel libro, scritto da una donna che a partire dai primi del Novecento abbandona adolescente la casa materna insieme alla sorella e comincia a gironzolare - appunto su treni passeggeri e treni merci, ma anche in autostop (malgrado le poche auto circolanti all'epoca) - facendo ogni genere di cosa per guadagnarsi da vivere in ciascun luogo che attraversava, dai lavori come impiegata (era dattilografa) a quelli di fatica (cuoca, lavandaia, lavori di pulizia) da attività illegali fino alla prostituzione, e di qui alla ricerca sociale (un percorso simile a quello di Nels Anderson, autor

Il mio modo d'amare

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Avevo in mano una pesca – frutto che amo molto – la cui buccia era in parte butterata, in parte raggrinzita, in un punto già in corso di fermentazione e quindi marcescenza. Però sentivo – al tatto – che la sua polpa era per il resto della giusta consistenza, e potevo percepire un tale profumo che mi dava la certezza della sua bontà. Allora l'analizzavo per bene e con un coltello appuntito eliminavo le parti in più avanzato stato di fermentazione, così come quelle in cui era butterata, e infine la sbucciavo. Ed eccola lì, la polpa – bella soda, arancione, succosa e gustosa. Un invito per la mia bocca, i miei denti, la mia lingua. Mangiavo – sì, me ne nutrivo – e giungevo al nocciolo. Quello mi temeva: temeva che l'avrei buttato via una volta che avessi consumato tutto il resto. Invece no. Era mia precisa intenzione e volontà 'salvarlo' – d'altronde avevo preso ogni cautela verso il frutto apposta perché lui rimanesse sano e integro. Così lo lavavo, l

Nomadismo, displacement e identità

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Non è la prima volta che per studio o lavoro mi trasferisco – in particolare all'estero – per un certo tempo. Già in passato sono stata via mesi affittando casa e facendo nuove conoscenze, dovendo parlare in un'altra lingua e mangiare cibi che non erano quelli cui ero abituata. In ogni luogo osservo persone e comportamenti – cerco di intuire l'anima del posto, l'atmosfera locale, il ritmo di vita della gente. Se non fossi così curiosa – e non amassi tanto espormi all'alterità – non avrei scelto come senso della mia vita quello che è il lavoro più bello del mondo. Immancabilmente, però, capita che arrivi il momento in cui non so più chi io sia né dove mi trovi. Uno spaesamento in termini di sensazione d'essere 'fuori luogo' – una condizione in cui non sei più la persona che sta viaggiando, ma neanche colei che appartiene realmente e pienamente al posto nuovo . Uno sgradevole limbo determinato dalla negazione d'una precisa collocazione