Carnevale! Sul travestirsi (non solo in questa festa...)
Uno dei primi esami che sostenni
all’università fu quello di Estetica, e per qualche ragione che non ricordo bene
dovetti studiare un libro sul tema della ‘persona’.
Venni così a conoscere l’etimologia di questa parola che curiosamente rivelò
uno stretto rapporto tra ‘maschera’ (che noi abitualmente associamo piuttosto a
un personaggio) e individuo (sulla cui sostanza, rispetto all’apparenza della
personaggio, noi giammai dubiteremmo). Invece l’origine rivela un’inversione
linguistica rispetto alle nostre aspettative: ‘persona’ sembrerebbe infatti poter
derivare sia dal greco prósōpon, che indicava tanto il volto dell’individuo,
quanto la maschera dell’attore, sia dal verbo latino personare (lett. ‘parlare attraverso’), azione compiuta per
il tramite di maschere da parte degli attori teatrali per dare le
sembianze a un personaggio e renderlo così riconoscibile al pubblico così come
per amplificare la propria voce in modo tale da essere udita anche dagli
spettatori lontani. Sorprendente, nevvero?
Quando pensiamo al Carnevale, l’immaginazione
va subito al travestirsi, al mascherarsi, all’assumere temporaneamente l’abbigliamento,
il trucco e le sembianze di qualcun altro. Come attori teatrali, ci spogliamo
dei nostri abiti consueti e per un certo tempo, nello spazio della festa,
indossiamo altri panni – normalmente quelli di un individuo di finzione,
immaginario, inesistente nella realtà – e ne adottiamo i comportamenti.
Sin da bambini veniamo indotti inconsapevolmente a sperimentare ruoli, mutandoci per alcune ore in attori che interpretano personaggi. Nell’adesione priva di riflessività a una festa istituzionalizzata giocata sull’inversione (come ho scritto nel post precedente), i nostri genitori scelgono un certo abbigliamento per noi e sono disponibili a viziarci portandoci alle giostre, comprandoci cibi che altrimenti non mangeremmo e incoraggiandoci appunto a essere qualcun altro.
Sin da bambini veniamo indotti inconsapevolmente a sperimentare ruoli, mutandoci per alcune ore in attori che interpretano personaggi. Nell’adesione priva di riflessività a una festa istituzionalizzata giocata sull’inversione (come ho scritto nel post precedente), i nostri genitori scelgono un certo abbigliamento per noi e sono disponibili a viziarci portandoci alle giostre, comprandoci cibi che altrimenti non mangeremmo e incoraggiandoci appunto a essere qualcun altro.
Ma crescendo, e avendo lavorato a lungo in teatro, Minerva ripensa a uno scritto di Richard Schechner dal titolo “Performer e
spettatori trasportati e trasformati” (Richard Schechner, La teoria della performance 1970-1983, 1984). Schechner, in sintesi, afferma che – da
quando un attore interpreta un personaggio – non esiste più una separazione
netta tra i due.
Quando, infatti, l’attore indossa le vesti di un personaggio, egli dà la propria personale interpretazione, sfumatura, declinazione a questi, così come inversamente, l’indossare i panni di un personaggio - lo sperimentarne l’identità incarnandola in sé anche solo per un breve periodo - porta all’assunzione, da parte della persona dell’attore, nella propria vita quotidiana extra-teatrale, di elementi, tratti, sfumature propri del personaggio che l’attore appunto ha interpretato.
Quando, infatti, l’attore indossa le vesti di un personaggio, egli dà la propria personale interpretazione, sfumatura, declinazione a questi, così come inversamente, l’indossare i panni di un personaggio - lo sperimentarne l’identità incarnandola in sé anche solo per un breve periodo - porta all’assunzione, da parte della persona dell’attore, nella propria vita quotidiana extra-teatrale, di elementi, tratti, sfumature propri del personaggio che l’attore appunto ha interpretato.
Così stando le cose, mi spiego parte della mia identità
oggi come segnata dalle scelte dei miei genitori su quali costumi farmi
indossare quando, tra l’asilo e il primo anno delle elementari, venni da loro
abbigliata ‘per le feste’. Un costume lo indossai per almeno tre anni di fila –
a mia madre era costato molto realizzarlo lei stessa a mano e oggi mi pento d’averlo buttato (pur se da grande lo usai addirittura come abbigliamento
quotidiano, il che la dice lunga!). Era da ‘zingara’, ed è il primo che
ricordo: una gonna patchwork lunga alle caviglie (che da grande userò come
minigonna), con una camicia in pizzo bianca, uno scialle, un foulard in testa e
grandi orecchini. Non molto diverso da come mi vesto e mi percepisco ancora
oggi, in realtà - nomade nella mente, prima ancora che nel corpo. Senza menzionare quanto zingari, nomadi e viaggiatori siano diventati in seguito soggetto di letture, indagini e riflessioni nella mia vita adulta. E poi altri due
costumi: Peter Pan e Robin Hood. Inutile spiegare cosa m’abbiano lasciato
dentro rispetto a ciò che sono oggi, vero? Ormai mi conoscete ;-)
E voi? Che costumi indossavate? E come vi travestite oggi,
anche in contesti non carnevaleschi?
E che cosa, di quei personaggi, confluisce in voi come persone nella vita quotidiana?
E che cosa, di quei personaggi, confluisce in voi come persone nella vita quotidiana?
Un bacio a tutti, buon martedì grasso!
Commenti
Se non fosse che non esco troppo dal seminato della settima arte, mi verrebbe da scrivere un post in merito!
Ottimo spunto, Minerva!
Ginevra, invece, su Facebook mi scrive: "La memoria mi porta ad una foto che conservo gelosamente: un carro allegorico, io e mio fratello, entrambi indiani d'America, pennuti e colorati; tifavamo per loro ed abbiamo deciso di indossare i loro abiti. Oggi mi travesterei da me stessa..., una delle tante me stessa, che convive, a volte pacificamente ed a volte no, con le altre :-D "
negli ambienti che frequentavo io fino a pochi anni fa si usa il Dress Code. Fossi in te approfondirei l'argomento ;-)
(ma questo post non si doveva chiamare diversamente?)
il mio Dress Code è sempre stato Man in Black
("la differenza tra me e te è che io vestito così sto da Dio")
In quanto al titolo del post, quello cui tu ti riferisci lo sto scrivendo. Forse tra un po' lo vedi ;-)
E dato che sono molto prolisso di mio, anche senza bere, ti risparmio tutta la fatica! ;)
ti ho seguita su Metilparaben ma non sono mai entrato in questo tuo antro personale.
Mi è piaciuto tanto questo post perché è un argomento che interessa molto anche a me!
Restando nel carnevale, alle elementari ero sempre il pesce fuor d'acqua. I miei avevano un po' di problemi economici e di salute e non pensavano a come vestirmi per tale festa, arrivavo a scuola e mentre tutti erano "mascherati" io non lo ero.
L'anno successivo, su mia pressione, mi hanno comprato una maschera di Paperino ed ero tutto contento. Arrivato a scuola ero comunque a disagio perché non avevo il vestito, ma lì, per quanto piccolo, ho capito. Superata la prima fase di tristezza, non mi interessava più, perché anche con delle maschere addosso i bambini erano tutti uguali tra loro, tutti pronti a giudicare e a cercare il diverso e condannarlo, anche tra le maschere. Io ero il diverso, e credo mi piacesse in fin dei conti.
Questo è successo in molti ambiti, loro cambiavano lo zaino e l'arredo scolastico tutti gli anni, io no. Loro andavano a messa a inizio anno, io no e di conseguenza catechesi, comunione etc... Loro avevano i vestiti firmati, io quelli di seconda mano...ma credo che questo sia stato parte del processo che ha formato la persona che sono ora e ne sono contento.
E' proprio vero, i miei mi vestivano con quello che potevano ma a loro modo non mi facevano mancare nulla e forse non sono mai stato "uguale agli altri" ma questo poi si è rivelato essere una cosa molto buona nel mio futuro e mi ha permesso di capire che le persone si guardano per quello che hanno sotto le maschere e le vesti! Banale forse, ma molto importante!
Il discorso potrebbe andare avanti all'infinito, ma ho già scritto anche troppo:)
Un saluto:)
Dici poco! Meno male, meno male davvero. Intanto perché non avrai frustrazioni da desideri consumistici che non puoi soddisfare, poi perché cercherai in ogni persona la sua specifica unicità e quella sarai sensibile ad ascoltare (e a prendertene cura). Tutt'altro che poco, mio caro, anzi!! Buona giornata a te, e benvenuto in questo mio spazio. Goditelo! :-)
Ero ad una festa di gente strapiena di soldi eccosì eskimo, occhialetti da intellettuale, papalina e un vecchio numero di Lotta Continua sottobraccio e per tutta la serata ho fracassato i coglioni a tutti aggredendoli con "cioè, cazzo nella misura in cui".
Ho paura che la metà degli elettori toscani del pdl siano nati quella sera.