Utopie concrete

"Mi si nota di più se vengo e sto appoggiato alla parete senza divertirmi tutto il tempo o se proprio non vengo?". Questo amletico dubbio morettiano è in realtà metafora del mio dilemma personale da un po' di tempo a questa parte rispetto alla mia partecipazione alla vita politica e sociale di questo paese, che m'ha visto sinora invero speranzosa e attiva.



Perché se tutto ci influenza e parimenti noi influenziamo qualsiasi cosa abbiamo intorno, il medesimo essere noi stessi a prescindere da ciò che ci sta intorno potrebbe - oltre all'indubbio vantaggio di farci in primis del bene - comportarne indirettamente un cambiamento.
E sarebbe, come diceva Watzlawick, un cambiamento di secondo livello, ovvero non un'opposizione alla fine complementare al dominio che subiamo, ma un'uscita da un sistema chiuso le cui componenti sono in rapporto profondamente sbilanciato che - su grandi numeri - provocherebbe una destabilizzazione definitiva al sistema forzandone il cambiamento delle regole di funzionamento.
Mah, ci sto pensando... E vado avanti in silenzio con la progettazione...


Commenti

Ernest ha detto…
ma guarda il dilemma morettiano lo faccio mio da un po' di tempo!
:)
Inter se mortales mutua vivunt
Minerva ha detto…
Alla fine sono sempre più un'eremita, in realtà :-( E ogni giorno un pezzetto in più del falansterio prende forma nella mente...
Ginevra ha detto…
Ti dirò, una sorta di strana eremita lo sono sempre stata: mi sottraggo agli insulti di tutto ciò che percepisco come superfluo, sia esso materiale che immateriale, senza sentirmi vigliacca; e la tensione tra il fare, a cui nemmeno mi sottraggo (anzi!) ed il lasciar perdere questo fare è dolorosa: segna il fallimento dell'Humanitas.
Per operare il cambiamento di cui parli, dovremmo essere in tanti, tantissimi e, l'uomo contemporaneo, non mi pare abbia maturato questo tipo di consapevolezza: aggredire ed agire con un fare attuato con il non-fare, un fare in altro modo.
In parte, però, lo stiamo già facendo, Minerva cara; le nostre vite, da quel che ci raccontiamo e facciamo, sono indirizzate già in questa dimensione. :-)
Pascal ha detto…
Calza a pennello :-)
Il punto è proprio questo: se “siamo convinti” che noi influenziamo il nostro intorno, allora diventa quasi un imperativo categorico darsi da fare perché la nostra influenza porti dei risultati.
Parimenti, se pensiamo che quello che possiamo fare non avrà un peso reale sulla situazione, il ragionamento porterebbe a pensare che sia inutile farlo. Se pensiamo che sia inutile, e non faremo niente, di sicuro non cambierà alcunché.
Sembrerebbe un gatto che si morde la coda, ma perché forse il ragionamento va rivisto.
Il punto è trovare un obiettivo da sognare che sia anche perseguibile.
Ne delinei tu stessa uno: “…oltre all'indubbio vantaggio di farci in primis del bene …”
Il ragionamento allora potrebbe essere questo: io voglio stare bene, e l’idea di poter influenzare il nostro intorno mi fa stare bene, per cui voglio e decido di tentare di farlo.
E’ un pensiero debole, ma funziona.
In realtà sappiamo benissimo che si punta ad altro che al semplice benessere personale.
Ed ha ragione Watzlawick, nel senso che le cose possono cambiare solo volendole cambiare, e detta così sembra forse una corbelleria, ma implica l’utilizzo di una volontà. Occorre uno sguardo “lungo”, perché è chiaro che forse non vedremo mai gli effetti del nostro lavoro. Ma il nostro minuscolo contributo sarà stato dato, e solo di conseguenza, allora, potremo dire di esserci fatti del bene. Ma non in primis: in toto.
Poi rimangono tutti i legittimi dubbi, ma avremo corrisposto con coerenza alla coerenza che pretendiamo dal mondo.
Discorso che potrebbe farsi lunghissimo, e che se ti va possiamo proseguire, perché è uno di quegli argomenti che mi riguardano e mi appassionano.
Buona giornata :-)
Minerva ha detto…
@XTC: dici che in pratica non possiamo evitare d'agire secondo quella che è la nostra natura ovvero - in questo caso - quella di tentare un cambiamento delle cose intorno e che è così facendo che "ci facciamo del bene"? Non so: mi pongo ancora il problema di ciò che c'è intorno, ma ho perso la fiducia nell'ipotesi di cambiarlo direttamente ovvero con un mio contributo attivo lì direzionato. La mia direzione ora sono sempre più io stessa.
Rosa Bruno ha detto…
Certamente sì Minerva... se non metaboliziamo vivendo in prima persona quel che comprendiamo percorrendo la strada, se non lo trasformiamo prima di tutto in comportamento e vita, diventa difficile che esso si stabilizzi, contagiando l'intorno.
Rimane teoria, speculazione, idea. Il coraggio di essere altro che non sistema, l'ho detto altre volte e ne sono assolutamente convinta, il coraggio civile della diversità.
Essere, parafrasando Gandhi, "Il cambiamento che vogliamo" iniziando noi a modificare il nostro modo di essere e la nostra relazione con gli altri. Rischiando l'empatia e il colore della nostra anima. Inutile dirti, a questo punto, quanto io sia d'accordo con te Minerva cara!
Namastè