La cajun [racconto]
La luce del tramonto filtra attraverso
le frasche di pini, carpini e frassini tra i quali mi sono rifugiata,
e risplende sulla superficie dell'acqua rendendola, a seconda
di come inclino lo sguardo, violacea o dorata.
Quando la sera mi siedo sul divano
riparato dalla tenda che sporge dal tettuccio del mio camper, penso
che sono davvero felice, e che questo è il posto più pacifico del
mondo. Finalmente nel silenzio, col solo frinire di cicale intorno,
sorseggio la mia birra ghiacciata osservando gli archi e le
torsioni che tronchi e rami disegnano da una parte all'altra del
limpido fiumiciattolo che scorre a pochi metri da me. In quel momento ripercorro
con la mente gli insignificanti eventi della mia giornata.
Sono mattiniera per forza: qui il caldo
è così soffocante che conviene cominciare presto e godere almeno
per qualche ora di non svolgere il proprio lavoro sotto un'afa che
rende difficile il solo respirare. Ma,
a differenza degli altri che stanno su a penare in case di pietra e
cemento, io la notte la trascorro in quel piccolo spiazzo di terra
umida riparato e fresco che da un anno chiamo 'il mio
posto', in cui visitatori o ospiti non sono benvenuti.
Di giorno invece salgo su, dai
proprietari di questi terreni - stranieri che hanno fatto fortuna
investendo i propri averi nelle maglie di un sistema corrotto e
ulteriormente corruttibile, chiamando gente a lavorare in cambio
d'un pezzo di pane, tanta è la povertà, l'immobilismo e l'ignoranza
di chi abita questi luoghi.
Ma io no: io sono qui per scelta.
Cosmopolita per nascita - i miei sono emigrati in Europa dalla Colombia
pochi anni prima che io vedessi la luce -, ho studiato nelle scuole
del vecchio continente per poi decidere che la vita di città o al
chiuso non faceva per me. E così ho comprato questo furgone-camper
verde scuro, e cominciato a viaggiare senza programmi troppo
definiti. Lì dentro c'è tutta la mia vita,
sebbene ne potrei pure fare a meno, ché alla fine la vita di
ciascuno di noi è inscritta nel corpo, nella memoria e nell'anima. E,
nel mio caso, in questi c'è tutto ciò che mi può servire per
proseguire l'esistenza.
Così, dicevo, di giorno salgo alla
tenuta degli stranieri, faccio colazione con la cuoca e prendo gli
avanzi da dare alle galline. Nutro quelle, recupero le
uova, e poi porto al pascolo le pecore in compagnia dei miei due
pastori tedeschi. I miei cani... per un umano, anche il mio uomo,
quando morisse dubito piangerei, ma se penso a perdere uno dei miei
cani (cosa che prima o poi comunque accadrà) le
lacrime che verserei mi porterebbero alla disidratazione.
Il pomeriggio lo passo nell'orto, sotto
il sole cocente, ma la mia pelle scura è resistente, e non teme
né l'afa né le punture degli insetti. In questa stagione recupero
fragole, ciliegie, zucchine, pomodori, cetrioli, cavoli maturi, e
porto tutto in cucina. Poi torno a curare piante aromatiche,
vegetali, alberi e ogni tanto rubo qualcosa per me - tanto quelli
neanche se ne accorgono!
Prendo rosmarino, ortiche, menta o
calendula, e ne faccio oli per il viso, il corpo, i capelli. O
medicine, per quando, pur se accade raramente, mi trovo a
respirare male, o devo curare ferite infette.
A lavoro ultimato, entro nella casa
patronale l'ultima volta, mi faccio una lunga doccia fresca, indosso
un vestito portato su apposta al mattino per indossarlo in questo
momento. Poi prendo dal frigorifero quanto mi basta per una cena frugale
e infine mi libero dell'esistenza del mondo scendendo al 'mio posto'.
E lì mi siedo finalmente tranquilla - sola - e bevo la birra che
dicevo...
Di tanto in tanto mi raggiunge
nella notte. Lui è come me: selvatico e misantropo. Per questo
andiamo d'accordo. Lascio il camper aperto, tanto raggiungermi è
cosa così impervia da far passare il desiderio a chiunque sia privo
della dovuta determinazione, e in pochi sono così determinati da
volersi sforzare per avere il corpo d'una donna.
Ma lui lo è, sebbene non debba poi fare altri sforzi per avermi.
Ma lui lo è, sebbene non debba poi fare altri sforzi per avermi.
All'interno del camper, sul mio letto
separato da una tenda di perline e conchiglie dal cucinino, lo sento arrivare - ormai riconosco il ritmo del suo
passo su fogliame e ramoscelli. Delicatamente apre la porta - sì, ha
queste accortezze - mi saluta dolcemente e prende una bottiglia di
birra dal frigo.
Bevendo a canna si avvicina, mi chiede
come va, e senz'altre parole solletica con le dita affusolate il mio
piede sinistro, mi prende la caviglia, e poi lento - la mano aperta - risale il polpaccio, il ginocchio, la coscia
esercitando la giusta pressione del pollice sull'interno della mia
gamba.
Un altro sorso di birra, mentre mi contempla madida di sudore e le sue dita scorrono così bene su di me.
Un altro sorso di birra, mentre mi contempla madida di sudore e le sue dita scorrono così bene su di me.
Di nuovo cerca il mio sguardo mentre lo
lascio fare e me la godo pregustandomi il piacere successivo.
S'avvicina ancora.
Conosce perfettamente il mio corpo, ma ogni volta lo esplora con attenzione, quasi a volerne trovare particolari nuovi. Gli insetti oggi m'hanno devastato, ho piaghe aperte che faticano a rimarginare. Sul suo viso compare un'espressione d'affettuosa comprensione.
Conosce perfettamente il mio corpo, ma ogni volta lo esplora con attenzione, quasi a volerne trovare particolari nuovi. Gli insetti oggi m'hanno devastato, ho piaghe aperte che faticano a rimarginare. Sul suo viso compare un'espressione d'affettuosa comprensione.
“Ti bruciano?” - domanda.
“Un po', ma se non le tocco le posso
sopportare”.
Non ho ancora finito di parlare che
m'ha afferrato il polso e s'è messo a succhiare una piaga sul
braccio, procurandomi una fitta di dolore e di piacere al tempo
stesso.
Cerca ancora il mio sguardo, e nel restituirglielo noto che non ha cambiato espressione. E' sempre compassionevole. Ma pure inquisitivo, e mi scruta per verificare il mio piacere nel provare dolore.
Cerca ancora il mio sguardo, e nel restituirglielo noto che non ha cambiato espressione. E' sempre compassionevole. Ma pure inquisitivo, e mi scruta per verificare il mio piacere nel provare dolore.
La sua lingua lecca il mio sudore e
raggiunge il collo, dove altre punture stanno aspettando di bruciare
sotto la sua saliva, e i nervi di tendersi ad eccitare l'intero corpo.
Cura amorevole e gioco sul limite - un'altra cosa che abbiamo in
comune. Per questo lo lascio fare e accetto un qualche rapporto con
lui.
Ha una lingua calda, e gli piace il mio
sapore. Di più: impazzisce per l'odore del mio corpo come io per
l'odore del suo. Con lui tutta la mia parte animale, che da tempo
non nascondo più, trova corrispondenza.
La bocca, la lingua, il naso cercano
segni, tracce, sfumature sulla superficie della nostra pelle. Se
convivessimo e ci abituassimo alla reciproca frequentazione per più
giorni, potremmo facilmente riconoscere cosa abbiamo
mangiato solo annusandoci l'un l'altra.
E gli occhi cercano la
bocca, ché guardare i denti, in questo momento, è
conferma e ulteriore stimolo all'eccitazione e al piacere.
Due animali che si sfidano.
Due animali che si sfidano.
Mi entra dentro, senza neanche
essersi preoccupato di verificare quando sia eccitata e aperta ad
accoglierlo. Sa già che il sudore che mi ricopre basta a farlo
scivolare in me. Comincia a muoversi con colpi
lunghi, intensi, ampi e lenti, mentre mi succhia i capezzoli e io
inarco la schiena. Se il mio corpo non si tramutasse in pochi minuti
in un lago tropicale, accetterei di buon grado di venire
sottoposta a tale trattamento per ore.
Ma io sono ancora peggio, perché
rilancio, e rilanciare significa stringere il suo corpo dentro il
mio, 'baciarlo' e 'succhiarlo' con i muscoli interni, lasciarlo
esausto finché lui non mi scosta con forza e cambia posizione,
riprendendo il controllo su di me.
Lo lascio fare - non devo affermare
nulla, non devo dimostrare nulla. Devo solo provare, e se possibile dare a mia
volta, ma di questo me ne curo ben poco, piacere.
Lui conosce bene il mio amor proprio, ma non ne è disturbato, anzi:
gli sta bene. Non sa mai cosa farò, né se farò qualcosa per lui,
ma sa che sempre cercherò la mia personale soddisfazione e che non
dipenderò da lui per ottenerla.
Per questo lo allontano da me -
sopporto fino a un certo punto il suo corpo addosso al mio - e gli stringo il collo tra le mani. Lui si fida di me,
quando lo faccio, ma la sua fiducia in me non va oltre questo,
così come pure la mia nei suoi confronti non esce dai bordi del
letto.
Lo guardo negli occhi con dolcezza. Mi
sono già sciolta, posso anche smettere di continuare a cercare un orgasmo dopo l'altro. Soddisfatta, posso dargli magnanima disponibilità a godere a
sua volta.
Gli accarezzo ancora i capelli, e poi
delicatamente glieli tiro, così da scostargli il volto di lato e
investirlo del mio solito atteggiamento di sfida - una complicità
e una ferinità che tanto gli piace. Infine lo stringo dentro di me,
con tutta la forza possibile, finché non avverto quella piccola
contrazione che anticipa il suo orgasmo e lì piano rilascio tutto. Il mio corpo diventa un morbido paesaggio in cui perdersi e lui lo fa,
svuotando il corpo e con quello qualsiasi memoria.
Non si ferma mai a dormire qui, e a me
sta bene così. Non sopporterei di condividere il letto oltre il
tempo necessario a fare sesso e poi questo è il 'mio posto', e
non condivido neanche questo.
Quando sento la porta richiudersi alle
sue spalle, affondo la testa nel cuscino, e protetta dal nostro odore
mi addormento col pensiero rassicurante d'essere un pezzo minuscolo
di questo ecosistema. Un elemento minuscolo del quale la
natura e le sue creature prendono temporaneo possesso: entrano,
escono, fanno ciò che vogliono e mi rendono viva - parte di un
flusso che sopravviverà alla mia fine, e metabolizzerà un giorno,
come nulla fosse, pure quella.
Commenti
Amore, umori, sudori, natura, silenzio...
Non c'è una sola parola espressa nel racconto, solo pensieri riferiti a completamento, a contorno.
Parlano i corpi, e tutto il resto tace.
Ciao, abbraccio.
Un bacio. ;)
@Ginevra: tu mi approvi troppo ;-)
@Cavaliere: grazie! :-)