Amici + amanti: chiamiamoli 'complici di vita' ;-)
E non quelle schifezze che ci dicono abitualmente essere tali rapporti, usando termini di raro squallore (cfr. qui a fianco).
Alcuni giorni orsono, un amico ha pubblicato questa immagine nel proprio profilo Facebook. Superato l'iniziale momento di rigetto dovuto appunto a una parola così orrenda nel titolo, devo dire che mi sono ritrovata in molte delle argomentazioni a sostegno di tale modalità di relazione piuttosto che di quella di coppia in senso 'tradizionale' (poi ovviamente le cose semplicemente accadono e - quando ci si innamora - si va fuori di testa, si vuole l'esclusiva e si vede solo il positivo, tanto che il negativo emergerà a relazione in via di conclusione o conclusa).
La sottoscritta, però, nel leggere queste considerazioni e risentendo anche d'una discussione in merito che ha seguito alcuni giorni orsono su alcuni siti femministi, s'è posta alcune domande. Cose da poco, come sempre ;-)
Tipo:
- quanto è 'naturale' la nostra ricerca di partner eterosessuali, e quanto invece lo facciamo giusto perché così ci siamo abituati a causa della società in cui siamo cresciuti (parlo proprio di 'abitudine', quindi senza connotazione positiva o negativa dell'aver ricevuto tale educazione che preferisce l'eterosessualità)?
- quanto è 'naturale' il desiderio di essere una coppia piuttosto che quello di vivere relazioni aperte (o 'polifoniche', come le chiamano alcuni ricorrendo a una metafora musicale invero deliziosa!)? Ché io, sin da quando ero piccola, ho sempre pensato che si potessero amare persone diverse contemporaneamente perché ciascuna era speciale per qualcosa e per tale ragione provavamo verso di lei quell'afflato...
- perché all'amore associamo così tanto il desiderio di possesso ed esclusiva?
- perché ci ostiniamo affinché relazioni che ci fanno stare bene durino per sempre, pur sapendo che tutto nella vita ha una fine (ma anche un inizio, e quindi dovremmo essere consapevoli che *sempre* troveremo, nel tempo, persone che vivranno con noi un pezzo della nostra vita)?
Lui: "Ecco, non c'è tanta gente che è arrivata a questo tuo livello di consapevolezza".
Io: "Beh, a me sembra logica... mi sembrerebbe piuttosto stupido non avere questo atteggiamento".
Lui: "E poi ti cautela dall'innamorarti. Cioè, tanto sai che finisce, così puoi scamparla prima".
Io: "Non ci penso neanche a scamparla! Quando ricapiterà - tanto ricapita sempre - stà certo che intendo vivermela tutta con tutti i casini annessi!".
Ridiamo. Siamo entrambi così, neanche per sogno ci perderemmo l'occasione del delirio dovuto ai sentimenti quando la ragione non riesce più a controllarli, pur essendo persone - come da suddette argomentazioni - chiaramente disincantate/razionali/lucide.
Io: "Comunque, per il momento, se non ci fossi tu non avrei bisogno di nessuno. Ho una vita strapiena e riesco a fatica a ritagliarmi qualche momento per godermi la solitudine".
Lui: "E' perché noi da soli ci stiamo benissimo. Per questo andiamo d'accordo, perché non ci stressiamo. Comunque pure io non ne avrei bisogno di stare con qualcuna in questo momento".
Io: "E poi un giorno o l'altro o io o tu ci innamoreremo di qualcuno/a e ce ne andremo, e già so che l'altro/a non farà storie".
Lui: "Appunto. Ma sai in quante poche tipe siete a essere *veramente* così? Che davvero avete la lucidità di accettare che prima o poi finisca?
Sorrido. Eh, immagino che non siamo tante!
Lui continua: "Comunque tu sei una delle relazioni più lunghe che io abbia avuto nella vita...".
E io penso: "Ah, perché, la nostra è una 'relazione'?".
In effetti lui c'è da qualche anno e ha attraversato la presenza di altre mie relazioni di coppia stando lontano, per poi esserci di nuovo ad altri rapporti conclusi. Io con lui idem, credo (non lo so perché non mi interessa, e non faccio domande quando non m'importano le risposte). Il tutto senza stress di sentimenti di possesso, gelosie, invidie - non che uno/a dei due stesse male perché voleva altro e questo tipo di rapporto fosse percepito come un ripiego rispetto a qualcosa che non si poteva avere (ché invece il più delle volte il problema di queste relazioni è quello).
In effetti lui c'è da qualche anno e ha attraversato la presenza di altre mie relazioni di coppia stando lontano, per poi esserci di nuovo ad altri rapporti conclusi. Io con lui idem, credo (non lo so perché non mi interessa, e non faccio domande quando non m'importano le risposte). Il tutto senza stress di sentimenti di possesso, gelosie, invidie - non che uno/a dei due stesse male perché voleva altro e questo tipo di rapporto fosse percepito come un ripiego rispetto a qualcosa che non si poteva avere (ché invece il più delle volte il problema di queste relazioni è quello).
Ecco. Un rapporto 'puro', libero/liberato da stereotipi e aspettative, eppure ancora denso/intenso/profondissimo. Un rapporto fatto di silenzi e dialoghi,
amicizia profonda, serate di concerti e
cene e risate, più tutto il sesso della situazione - vissuto e dato con affetto, dolcezza, sorrisi e cura reciproca (e quindi non 'trombate' - parola che associo a violenza, freddezza, menefreghismo verso l'altra persona giusto per avere un qualunque orgasmo in più, e allora meglio - con molto amore verso me stessa - che me lo procuri piuttosto felicemente da sola).
Non potremmo prima o poi cominciare a parlare di 'complicità' - perché quella è! - e dare quindi a queste relazioni una connotazione positiva e tutto il valore che essere hanno realmente?
Perché ne hanno tantissimo. Sono vere. Gratuite. Volute.
Sono 'amicizia', nel senso più nobile e profondo della parola.
Perché ne hanno tantissimo. Sono vere. Gratuite. Volute.
Sono 'amicizia', nel senso più nobile e profondo della parola.
Commenti
Però mi ci ritrovo appieno nella descrizione di "relazione" che tu fai, fatta di tutto quello di cui tu parli, di mancanza di sentimento di possesso e di gelosie e di invidie, e invece sempre più ricco di affetto e complicità. E' un po' che ci penso, in effetti, che io da vent'anni ho un trombamico. Mio marito.
su tutto il resto, hai scritto almeno duecento cose che meriterebbero risposta e approfondimento. mò ci penzo ;-)
@ ganfione: ecco, il mio solito limite, formulare pensieri complessi, arzigogolati e talvolta pure involuti. Accidenti! :-D
A proposito dell’espressione “il privato è politico”, resta da capire come sia possibile che delle riflessioni procedenti da esperienze personali costituiscano immediatamente qualcosa di politico. Ogni giorno riflettiamo su noi stessi, significa forse che ogni volta ci riproduciamo in atti politici? Chiaramente non è così.
P.S. Evidentemente è la seconda che hai detto: sull'argomento pensiamo in modi molto diversi. Niente di drammatico, comunque :-) Baci.
1) Sui tatuaggi. Personalmente non li considero per forza una mercificazione di sé quanto un atto che alcune persone possono decidere di compiere sul proprio corpo per distinguersi o al contrario affermare un'appartenenza, per esprimere la propria identità o qualcosa per loro simbolico o semplicemente perché piacciono loro visivamente.
Ho una quantità notevole di amici tatuati e curiosamente ho verificato le loro ragioni, così come spesso ho letto sull'argomento e interrogato amici tatuatori, e tali diverse ragioni sono tutte parimenti confermate. Concordo con te che, però, c'è anche chi li fa per rendersi 'prodotto' per un potenziale interessato (= 'acquirente' in senso lato, non necessariamente in discorsi di denaro), sebbene - e, aggiungo, per fortuna! - costoro siano nella mia esperienza un'esigua minoranza. Poi i tatuaggi del sesso suddetti sono addirittura respingenti, secondo me... ma questo è un altro discorso.
2) "Ogni giorno riflettiamo su noi stessi, significa forse che ogni volta ci riproduciamo in atti politici?".
Per me sì. Già solo il fatto che abbiamo blog con i quali mettiamo in scena pubblicamente i nostri pensieri - fossero anche solo 'diari intimi' - questo rappresenta secondo me un atto politico, perché erodiamo il monopolio statale/mediatico/istituzionale nel gettare contenuti in pubblico che vanno poi a ispirare e/o diventare parte di immaginari degli individui che li leggeranno :-)
Per me, quindi, in questo senso tutto ciò che faccio è 'politico', anche solo decidere di vivere nel modo in cui vivo, con le relazioni che ho, con i dialoghi cui partecipo. Sono certa che capisci ciò che intendo :-)
3) "uno stile di vita diverso che non chiama in causa le contraddizioni reali e profonde [...] secondo me significa semplicemente sviluppare nuovi e diversi stereotipi".
Ok, afferrato il tuo punto di vista, ma mi continua a rimanere il dubbio di quali sarebbero queste "contraddizioni reali e profonde" (l'ipocrisia del tradimento? i rapporti di coppia imposti da altri o fatti per 'avere un po' di compagnia contro la solitudine? ti riferivi a questo?) e del perché, nel momento in cui insisto nel promuovere la legittimità di relazioni d'amore/amicizia sincere ma volontarie, libere e gratuite - indipendentemente dal sesso e dal ruolo dell'interlocutore - questo sarebbe solo proporre nuovi stereotipi e non piuttosto affermare una forma di libertà pulita e senza compromessi affinché magari in futuro non debba continuare a contrastare chi (v. legioni di mogli/mamme cretine e uomini che "vanno a mignotte mentre i figli guardano/guidano la tv") offende, tira a silenziare e umiliare (e ce ne sono, stanne certo), pretende di decidere per gli altri e in particolare per quelli7e come me, che rivendicano libertà e autodeterminazione. Ché libertà e autodeterminazione non sono stereotipi - non per me almeno ;-)
A te, mio caro! :-)
[PS. Prospettive distanti, ma buona conversazione e bacio ricambiato ;-) ]
[PS2: leggi il pezzo di ganfione che mi ha indicato nel commento, è interessante anche quello, secondo me - e comunque ottimo spunto di riflessione]
Si possono coltivare tutte le ragioni di questo mondo in buona fede, ciò non toglie che lo spettacolo sia un rapporto sociale mediato da immagini (completamente autonome e separate), del tutto indifferente alle intenzionalità dei soggetti. La merce resta merce anche se noi non vogliamo che lo sia. Le contraddizioni profonde di cui mi chiedi sono dunque quelle inerenti al rapporto di capitale, a questo livello di sviluppo: non si sceglie liberamente nulla, perché la scelta è già stata fatta, ed è implicita nel modo di produzione dominante. Non possiamo tirarcene fuori, però possiamo almeno porre correttamente i termini del problema.
A proposito della moda dei tatuaggi, gli scritti di Pasolini su fenomeni come i capelloni, o altro, restano intatte nella loro validità.
Quanto ai blog, essi generalmente producono molta più informazione (o sarebbe meglio dire opinioni, in grandissima maggioranza scadente) di quanta si riesca effettivamente a consumare. Un atto politico consisterebbe al contrario nell’interromperla, nel renderla impossibile.
o friends with penefits, come dico io :)
Non concordo neanche sull'analisi dei modelli culturali dominanti, la questione può essere posta in termini più sottili - e ritengo che ci sia sempre la possibilità di guardare e lasciarsi ispirare da altri contesti culturali (su Pasolini invece non mi esprimo perché non conosco cos'abbia scritto sulla specifica questione cui tu ti riferisci).
Rispetto ai blog o a quasisi forma di controinformazione (ancorché, te ne dò atto, talvolta invero scadente) preferisco che ci sia una cacofonia che provoca la temuta 'disinformazione da sovrainformazione' piuttosto che un silenzio che apra sempre la strada a totalitarismi: perché se non ci prendiamo noi gli spazi, stà pur certo che questi non rimarrebbero vuoti/incontaminati, ma verrebbero riempiti da altri - e a questo punto allora preferisco vengano riempiti da persone ingenue, inconsapevoli e talvolta pure un po' sceme (ai miei occhi) piuttosto che da chi già detiene il potere politico+economico+mediatico e un domani rappresenti una dittatura peggiore di quella che già stiamo subendo.
[PS pazzesco che si cominci a parlare di sesso e si finisca sempre in politica ;-) ciao!]
Bacio, un'ottima giornata a te! :-)
La complicità di cui parli è un sentimento bellissimo: è intimità, tocco di anime, sincerità, caduta dei veli con cui ci mascheriamo-difendiamo, apertura senza pregiudizio; racchiude affetto, rispetto, bene; non è anche questa una forma d'amore? Siamo abituati ad identificare e definire l'amore solo con quel sentimento furioso e travolgente che offusca la mente, unico ed esclusivo, con quei tratti (orribili per me) di possessività e gelosia; liberiamoci di etichette e definizioni e diamo sostanza alle nostre relazioni a prescindere da come esse si possano chiamare, diamo luce a ciò che, per ciascuno di noi, è naturalezza, stare bene, godimento, nel totale ed assoluto rispetto dei nostri ed altrui sentimenti, con l’assunzione di responsabilità verso noi stessi e l’altro; ci vuole maturità per farlo, capacità di introspezione e comprensione dei nostri bisogni reali, scevri da condizionamenti. Cosucce da poco, come le domande che hai posto. :-)