Modelli di relazioni sentimentali: che fare?


Camminavo sulla passerella pedonale, finalmente ricentrata e abbastanza serena, e camminare mi fa sempre girare bene la mente. E infatti l'illuminazione è arrivata di colpo, per cui mi sono fermata e mi sono detta "Scema, sei un'antropologa e, malgrado ciò, in tutti questi anni non ti sei accorta dell'ovvietà più importante e condizionante la tua vita affettiva, relazionale e sentimentale".

Perché le relazioni che intrattengo con gli altri sono sempre più faticose per me e per tutti, e tendo a vedere come foriere di felicità profonda e duratura per tutti le mie convinzioni - qualora anche gli altri si liberassero da tante paure, sensi di colpa, pensieri castranti - senza rendermi conto che anche i sogni e l'immaginazione, ammesso che pure li abbiamo avuti simili in altre fasi della vita (e di fatto a me viene detto spesso che sono un'ingenua, una sognatrice, una romantica quando proprio non mi si definisce 'infantile' per il continuare a crederci), sono poi percepibili come realizzabili concretamente solo in base all'esperienza che uno ha avuto nella vita.

Mi sono venute in mente solite le parole chiave del discorso - 'felicità', 'amore', 'relazioni', 'famiglia', 'coppia', 'amanti', 'amicizia' - e ho visto che per me vi sono due modelli che alla fine, appunto, mi condizionano tutta la visione e percezione della vita e non riescono a farmi accettare soluzioni intermedie (lo star bene, la contentezza, rapporti multipli per soddisfare i diversi pezzi di sé ecc.).

Io ho avuto due modelli diversi, ma entrambi di felicità assoluta nelle relazioni di coppia - il primo quello dei miei genitori e poi quello di mio padre e della sua nuova compagna.
Il primo è stato il classico amore violento e duraturo che si sviluppa verso la fine dell'adolescenza, quando credi, se trovi la persona con cui lo provi, che durerà per tutta la vita. Mia madre conosce quel bel giovane riflessivo, timido, ed estremamente acuto che è mio padre e va in palla. Manda all'aria un fidanzamento pluriennale, gli sta accanto quando lui s'ammala e sembra dover andare all'altro mondo, si sposano e si trasferisce di città infischiandosene serenamente di rompere con la famiglia d'origine per tale scelta, e convinta - come poi sarà - che lei può reinventarsi e vincere ovunque vada. E ci riesce. Io, nei miei ricordi di bambina, vedo quei due, ancora dopo anni insieme, ridere come pazzi, capirsi con un'occhiata, e amare reciprocamente anche i difetti, pur se questi danno origine a sfuriate spaventose quanto dimenticate non appena avute luogo. Quello per me è l'amore vero, la felicità, e un rapporto che dura.
Dura una quindicina d'anni, ovvero solo fino alla morte di lei, purtroppo, dopo un anno di lotta, ancor giovane, contro una malattia che non le lascia scampo. E io e mio padre rimaniamo in quel ricordo malinconico di quella felicità perduta, così come questa rimane cristallizzata - ormai immutabile - come *felicità* vera e propria, che mai sarebbe cambiata anche se lei fosse vissuta anni ancora.

La vita reale, però, va avanti, pur in quel ricordo e quella nostalgia. Tutto chiaramente cambia. Mio padre di lì ha tante relazioni, alcune delle quali ufficiali, altre ufficiose - per le quali io gli reggo addirittura il gioco. Un uomo sempre indeciso, lui, incapace di fare scelte, insofferente alle limitazioni, insofferente all'imperfezione, insofferente al cercare in diverse persone qualcuna che tenga insieme tutti i suoi pezzi.
Tra quelle ufficiose - tra amanti - incontra una come lui. Solitaria, brillante, affettuosa, indipendente, ironica. Vedendo la rosa delle sue donne - e ne ho viste tante - l'unica che rimane nel tempo è sempre lei: quella con cui non c'è inganno, in cui tutto, tra loro, è alla luce del sole, in cui ci si tira mazzate e si fanno litigate furiose e il giorno dopo sono di nuovo insieme, con un'attrazione fortissima di corpo, mente e cuore nella stima reciproca per come cercano di sopravvivere entrambi - ognuno a proprio modo - in una vita della quale entrambi non sono entusiasti, cercando in parallelo di farsi bastare ciò che hanno - star bene nell'(in)soddisfazione che a detta di chiunque caratterizza l'essere adulti e maturi - e poi incontrandosi appena possibile per mangiare insieme, andare al cinema, e fare anche altro (ovviamente sempre di nascosto).
Qualcosa tipo 25 anni vissuti così. Sino a quando, finalmente, smettono di cercare altrove alcuni anni orsono (= si sono dati una svegliata) e ora sono le due persone più felici che io conosca, alle quali brillano gli occhi quando parlano l'uno dell'altra.
Brillano gli occhi. E hanno 70 anni.

Oggi mi sono resa conto - alla buon'ora, il che mi fa dubitare di me stessa come antropologa visto che non ci sono arrivata prima - di quanto questo sia stato e sia per me condizionante. Se non fossi stata esposta a un'esperienza perfetta troncata e cristallizzata nella sua perfezione, e non vedessi che da quella è comunque venuto fuori un altro miracolo di perfezione, forse riuscirei anche io a farmi andare bene tanta imperfezione, parzialità, quieto vivere, contentezza, soluzioni-tampone ecc. Magari non le penserei neanche come tali, magari mi basterebbe e sarei grata d'essere 'contenta' e riterrei che la felicità possa essere solo in momenti.
E invece io penso ancora che la felicità vada vissuta nel presente, con tutta la passione e il desiderio che provo in nell'istante in cui ne sento arrivare le condizioni perché il giorno dopo potrei morire per qualsiasi accadimento improvviso (condizionamento da primo modello), così come che quella condizione possa parimenti durare per sempre, se non interviene la morte a troncarla, perché 35 anni dei quali sono testimone sono già una vita (condizionamento da secondo modello).

Ora che sono consapevole di tutto ciò, come faccio a stare bene io e a smettere di fare del male a - e a rovinarmi i rapporti con - chi non è cresciuto con questa mia medesima (e meravigliosa, lasciatevelo dire) esperienza?


Commenti

Luca Massaro ha detto…
«Brillano gli occhi». Me li fai brillare se penso che oggi, parlando, ho pensato alla stessa necessità.
Sei in forma, la primavera ti fa bene.
Gio ha detto…
Io vengo qui, e trovo di che nutrirmi.
Ciao bellissima :-)
Minerva ha detto…
@Luca: Ma tu pensa, e dire che invece sono in uno stato pietoso. Che strano darti invece questa sensazione così opposta a come mi sento. Uhm... adesso rifletto su questa tua sensazione di me in questo periodo, eh? :-)

@Gio: Sei sempre di grande dolcezza. Grazie, un bacio :-)